Il ricordo perfetto




 

Emma Scinica

 

UNA STORIA QUALUNQUE

(IL RICORDO PERFETTO)

 

 


 

 



 

- PREFAZIONE -

 

 

 

 

 

Non mi pento dei momenti in cui ho sofferto;
porto su di me le cicatrici
come se fossero medaglie,
So che la libertà ha un prezzo alto,
alto quanto quello della schiavitù.
L'unica differenza è che si paga con piacere,
e con un sorriso...
anche quando quel sorriso è bagnato dalle lacrime.

 

 



- 1 -

 

Impercettibile. Credette che fosse l’aggettivo più appropriato per definire il peso del suo vivere dopo averla incontrata. Lei aveva creato scompiglio nella sua comfort zone, ma dopo solo qualche giorno scoprì che non era affatto difficile trovare ordinatamente posto per lei; riconobbe che, finalmente, era felice di svegliarsi al mattino per un motivo valido, non per il solo andare al lavoro, e che passare qualche notte in bianco non gli pesasse, anzi: se non era perché era con lei, il pensarla lo teneva sveglio fino all'alba. Lei non aveva uno spazio da condividere con altri, aveva un suo spazio e basta, ma percepì da subito che la sua libertà stava per stringersi all'interno di un recinto costruitole intorno dalla presenza di lui. I giorni cambiarono indirizzo, o meglio, presero una direzione in linea retta, cosa che non era ancora capitata alla sua vita. E, forse, anche questa nuova e sconosciuta regolarità l’aveva disorientata fino a crearle non pochi interrogativi: “ma che sto combinando? – lo voglio davvero? – come sarà il dopo? – e l'adesso? – ricorderò ancora, e mi mancherà, il prima?”. Interrogativi che non trovarono una risposta fino alla fine della loro storia; e sì che ne ebbero di tempo per trovare risposte: cinque anni passati ad amarsi e non dirselo; cinque anni passati a fare finta di non esistere, a cercare di non lasciare troppe tracce e, in special modo, a fare attenzione a non abbassare la guardia, per non commettere errori irreparabili. In questa visione egoistica della loro situazione, in cui lei sarebbe stata la meno toccata se fossero stati scoperti, si era aperta una prima irreparabile falla, dovuta al fatto che era solo lui ad avere qualcosa da difendere. Ed il chiedersi il perché di tutto questo, per lei, equivalse a mettersi in secondo piano sulla scala dei valori. Cosa voleva veramente da lei? Una semplice avventura che saziasse la sua smania di affermazione, o solo la sua fame di alternare il partner sessuale? Lei, non lo immaginava ancora, era ben distante dalla verità. Per lui rappresentava la svolta ad una vita sentimentale repressa dai tradimenti subiti, dalle incomprensioni e da altri dolorosi fallimenti che lo avevano privato dell’autostima e della fiducia nel prossimo, specie nelle donne. Per lui era colei che lo avrebbe salvato, che avrebbe salvato la sua vita. Non poteva certo immaginare la grandezza e la forza dei pensieri di un uomo innamorato, che chiedeva solo onestà e, forse, gliela avrebbe anche concessa a sua volta... prima o poi.


- 2 -

 

Un giorno si incontrarono, e non per caso. Era un pomeriggio autunnale e lui dovette fare qualche chilometro in auto per raggiungerla. Sarebbe stato comunque necessario allontanarsi per ovvi motivi. Non gli diede fastidio più di tanto, comunque, amando da sempre quei luoghi collinari, pieni di profumi evocativi presenti in ogni stagione e di ricordi. Lei, per l'occasione, si era fatta bella; i lunghi e sottili capelli biondi, quasi impalpabili, cadevano dritti sulla schiena leggermente arcuata in avanti, come a mettere in mostra il seno al di sotto della camicetta bianca, sblusata sulla gonna Blue lord del tailleur che indossava. Gli occhi grigio chiaro, con l’iride circondata di nero, risaltavano nel contorno creato a regola d’arte dal trucco sfumato; la bocca sembrava più carnosa di qualche giorno prima, quando si erano conosciuti, e a lui non era sfuggito quel particolare, attribuendolo al rossetto lucido che la copriva e che, naturalmente, in lui evocava voluttà. Non voleva, però, che quel momento così carico di emozioni si riducesse a semplice attrazione sessuale. Con lei voleva che fosse diverso. Prese a guardarsi attorno, tra cielo e asfalto e a considerare tutti gli aspetti coinvolti in quei momenti: profumi, temperatura, le più remote ed interiori sensazioni avrebbero collaborato a ricreare un ricordo perfetto di quel pomeriggio, nel momento in cui vi fosse tornato da solo. Forse, in cuor suo, già intuiva quale sarebbe stato il loro futuro. Dal canto suo, lei, bella e fiera nel suo splendore, si limitava a dimostrare una staccata curiosità nei confronti di quel quarantenne che avrebbe voluto essere un leone, ed invece era impacciato come un ragazzino al primo appuntamento. Ma iniziava a piacerle così, con quei limiti che lo rendevano reale e quegli sguardi che la facevano sprofondare nel buio di una notte profonda, pronta ad inghiottirla per sempre. Ma evocavano anche un luogo senza luce, senza colore, abitato solo da lacrime e musiche struggenti, la stessa melancolia che traspariva dai brani che le aveva fatto ascoltare e che tanto l'avevano ammaliata, malgrado l’età ed i suoi gusti musicali. Non c’era altro rimedio alla situazione se non viverla fino ad esaurire quella carica elettrica che si stava creando tra loro due: nel tentativo di tenerlo distante da sé, finì per farselo entrare molto più dentro di quanto lei stessa avesse immaginato fino a quel momento; nel tentativo di non cadere nella tenerezza che lei trasudava, finì impigliato tra le maglie della rete che lui stesso aveva teso. Ma già qualcosa non funzionava come avrebbe dovuto, perché un ragno non cade mai vittima della propria tela.


- 3 -

 

Lei era seduta di spalle, lui si trovò, invece, ad essere in piedi dietro lei. Poteva sentire il profumo dei suoi capelli e del suo collo, gli sembrava di percepirne il calore accarezzargli il viso. Inebriato, immersi nella stessa luce arrugginita che filtrava dalla tenda socchiusa e proveniva dal lampione di fronte, pensò che fosse arrivato il momento che stava immaginando da giorni e le mise una mano sulla spalla destra; poi sulla sinistra e, a quel punto, lei si portò in avanti e si alzò dalla sedia. In quel momento, in lui, crollò rumorosamente ogni castello costruito. Lei era in piedi di fronte a lui, a testa alta, con piglio accusatorio; ancora una volta, fiera della sua bellezza, lo guardava fisso negli occhi, con uno sguardo che avrebbe potuto farli sanguinare. Non si dissero una sola parola, non respirarono neppure, immergendosi in una apnea infinita ed insidiosa. Alla fine, gli si avvicinò, allungò una mano verso il suo viso in una carezza e lo baciò, senza chiudere gli occhi. Lui sentì una sensazione fortissima, un misto tra vertigine e dolore acuto, accompagnato da un suono profondo, acquatico, come la sensazione umida di quel bacio improvviso, lungo, appassionato. Ma non riuscì, come invece lei, a tenere gli occhi aperti. Avrebbe voluto chiederle il perché, ma non lo fece. Più tardi, quella sera, ebbe modo di rendersi conto che gli occhi non li chiudeva neppure facendo l’amore. Si disse che forse, come lui, cercava solo di registrare ogni minima cosa per creare un ricordo perfetto ad ogni situazione. Ma, se non fosse stato così, allora perché? Qualche istante dopo aver ottenuto ciò che entrambi avevano desiderato fino a quel momento, la loro consapevolezza prese direzioni diverse: lui, in realtà, non era ancora riuscito a reinserire sé stesso nella realtà, percependola nuova e sconosciuta; stava lì, drogato da così tante emozioni e sensazioni che il suo pensare andò in crash, come un vecchio computer al quale si chiede di gestire troppe applicazioni contemporaneamente. Lei, smaltendo le endorfine in eccesso, cadde vittima dei loro effetti collaterali; ancor prima del desiderio di stargli vicino, magari con il viso sul suo petto, riconobbe a sé stessa di aver aperto una porta che, forse, non avrebbe mai dovuto aprire. Per la sua incolumità. Per la loro incolumità. Parecchi istanti dopo, a lui venne l'idea di iniziare a parlarne. Forse non fu una buona idea, forse creò una situazione di fastidio tra loro, ma era quanto mai necessario mettere un primo paletto sulla loro strada. Sarebbe stato semplice fare retorica, ma anche estremamente pericoloso, ad esempio col pronunciare quelle frasi da film, del tipo "ma cosa stiamo combinando?" oppure "non deve più accadere!", "siamo stati degli egoisti, abbiamo pensato solo a noi stessi". No. Lui, ulteriormente motivato da quel contatto così intimo e profondo, le disse "io non voglio perderti, perderei anche me stesso". Ma non si era chiesto quale effetto avrebbe causato in lei l'essere investita da questo nuovo treno di responsabilità. Gli rispose che non sempre è bene avere sulla bocca quello che si ha nel cuore. Lui tacque, al posto di annuire: molti anni prima fu rimproverato sullo stesso argomento da un'altra; gli sembrò di essere tornato a fare gli stessi errori del passato e pensò che, anche questa volta, le cose sarebbero finite male se non avesse posto rimedio alle vecchie abitudini. Da dire, però, che si piacquero fin dalla prima volta e non è dato certo per scontato, specie per una giovane donna. Lei era single, comunque, e non vergine. Fino a poche settimane prima aveva convissuto con un altro uomo più vecchio di lei. La cosa aveva cominciato a ruzzolare rovinosamente dopo essersi conosciuti, ma non fu la causa principale per cui finì; il rapporto tra i due era già incrinato dalla noia e dalle continue sparizioni di lui. Era arrivata in Italia da Brighton, nel Sussex, località balneare ad un'ora da Londra in cui abitava e lavorava, in una delle attività commerciali del Brighton Pier. Lui, invece, era un tecnico del suono e faceva parte del team che seguiva un gruppo di un paese dell'Europa del Nord, sempre in giro. E proprio durante una tournée, tappa vicino a Brighton, conobbe la bella biondina inglese. Dopo essersi frequentati giusto per qualche giorno, lei se ne invaghì al punto di cedere alle sue insistenti richieste a seguirlo nei viaggi di lavoro. Fece leva il fascino che ha sempre avuto su di lei il viaggiare, ma la bella favola mostrò presto l'ultima di copertina: al primo rientro in Italia, che lei prese erroneamente come una sorta di luna di miele, si trovò ospite in casa dei genitori di lui, in un paesello in mezzo alle colline piemontesi. Niente Roma, Venezia, Milano, Napoli e chissà quante altre promesse bruciate in poco tempo, per lei: non c'era più spazio nei suoi viaggi di lavoro; poteva rimanere a lavorare in studio di registrazione, se avesse voluto, e sarebbe rimasta comunque ospite dai genitori di lui. Oppure avrebbe potuto tornarsene in Inghilterra. La triste principessa, già in rotta di collisione con la mamma per la sua scelta, separata, tra l'altro, da suo padre, non poté fare a meno di restare, almeno momentaneamente, lì dove lui la portò. La sistemazione durò per tre anni anche nel dopo, in cui pagò l'affitto ai vecchi genitori dell'ex compagno, in uno stato d'animo contraddittorio, perché si era in qualche modo affezionata a loro e loro a lei. La trattavano come una figlia e, quando tornava lui, non perdevano occasione per esternargli il loro disappunto, difendendola a prescindere. Alla fine, lui smise di farsi vedere, e lei ne fu in parte compiaciuta, se non altro per il fatto che il continuare a vederlo le procurava comunque tristezza e rabbia e che la situazione era paradossale e difficile da gestire. Quando lei gli raccontò quest'ultima parte della sua vita, lui si sentì fiero di sé come, molti anni prima, si sentiva fiero nell'aver soffiato la donna a qualcuno che gli era ostile o anche solo antipatico. Era il suo modo per manifestare la sua ostilità verso i suoi nemici; non che ne avesse avuti molti, ma gli riusciva bene.


- 4 -

 

Arrivò un momento, per lei, in cui si rese necessario lasciare quella casa. Fino ad allora, vuoi per la situazione di lui, sposato con figli, vuoi per la presenza dei genitori in casa dell'ex compagno, era stato molto difficile incontrarsi in tranquillità e comodità. Lui non poteva usare bancomat e carte di credito per pagare gli hotel ad ore in cui, ogni tanto, si recavano per un po' di intimità, o la moglie se ne sarebbe accorta; allo stesso modo prelevare cifre in contanti, diverse dal solito, avrebbe creato comunque dei sospetti. Lei anticipava quelle cifre che lui gli rendeva con una sorta di rate, in un paio di volte. Tutte le volte che si trovavano a pagare, per lui si aprivano le voragini della vergogna sotto i piedi. Non era una questione di soldi, era il fatto che lui temesse la reazione della moglie nel caso li avesse scoperti. Agli occhi di lei, ai quali non scappava nulla, certo non sfuggiva neppure l'espressione di disagio che lui esibiva in ogni situazione analoga, tanto che una volta gli disse "perché non la lasci? Così non dovrai più aver paura di essere scoperto o vivere preoccupato. Saremmo finalmente una coppia e non due fuggiaschi. Ma tu hai più paura di perdere tua moglie che voglia di stare con me. Guarda che l'ho capito, non sono stupida". L'aveva inquadrato per bene, aveva capito che lui si stava adagiando nella situazione comoda che lei si era prestata a mantenere, con il piede dentro due scarpe. Capra e cavoli, pecora e lupo, diavolo e acquasanta. Non le stava affatto bene ed era solo una di quelle caratteristiche fondamentali che fanno la differenza tra un uomo ed una donna. Toccava a lei, dunque, cercare di cambiare le cose tra loro due. Lei lo voleva con sé e solo per sé; non poteva accettare di condividerlo ancora a lungo con sua moglie. Il momento del trasloco fu, per lei, l'occasione per sondare le sue vere intenzioni. Non gli disse da subito che aveva già preso una casa in affitto, né dove; piuttosto gli disse "Allora? Ormai solo una tua parola può tenermi ancora qui. Quanto speravi sarebbe durata una relazione disonesta come questa? Bada bene, se dico disonesta intendo nei nostri confronti, non certo nei confronti di tua moglie per cui non mi preoccupo di certo. Disonesto tu a cercarmi solo quando ti và, disonesta io a permettertelo. Non ci stiamo facendo del bene, rischiamo di rovinare tutto e renderlo inservibile, lo capisci, si?". Bella roba. Quando lei decide, si fa come dice lei. E questo vale con tutte le donne, non c'è storia. Per lui era arrivato il momento di dimostrare quanto leone o quanto pecora fosse in realtà. Capì l'inutilità del dirle frasi patetiche del tipo "io ti amo, cosa sarà di me, ecc.", allo stesso modo sapeva che non sarebbe stato possibile che lei gli permettesse di temporeggiare, non ce n'era il tempo. Spalle al muro, e con la sua sola esperienza a sostenerlo, giocò d'azzardo: "va bene. Allora deve finire qui. Tu non sei meno importante di nessuno, anzi. Sei la persona più importante della mia vita adesso, in questo preciso istante. Ma fino ad oggi abbiamo solo giocato entrambi, non abbiamo mai parlato in termini seri di ciò che c'è tra noi, se ci sarebbe bastato e fino a quando saremmo riusciti a viverlo. La nostra voglia di stare insieme ci ha fatto intravedere la possibilità di viverla fino in fondo, questa storia; ma il fondo dov'è? Potremmo averlo toccato oggi. Le tue parole un po' mi offendono, ma me le aspettavo: tu sei libera, in cerca della tua strada e del tuo posto al sole, ma conoscevi anche perfettamente la mia situazione nel momento in cui ci siamo messi insieme. Ora non ti sta più bene, ma è un problema tuo: se pensi che andartene sia l'unica soluzione, allora fallo. Se vuoi rimanere, io ci sarò, per tutte le volte che mi vorrai vicino. Ma per il momento non posso darti di più. Voglio essere sincero con te: un giorno lontano ebbi una storia, che credetti essere seria, con una donna più giovane di me (ma più grande di te). Quasi da subito lei, fidanzata da anni, mi disse di lasciare entrambi il nostro partner e di metterci insieme. Ovviamente io glissai, anche se in quel periodo avevo la certezza quasi assoluta che mia moglie avesse una relazione. Non lo nascondo, il fatto che lei fosse più giovane di me, almeno in parte, mi bloccò. Qualche tempo dopo, quando la mia sensazione di essere tradito lasciò il posto alla certezza, fui io a rivolgerle la stessa domanda, ma lei mi rispose che tra di noi era bello perché era così. Aversi ogni giorno, senza ostacoli, con la certezza nella presenza dell'altro, avrebbe fatto di noi una coppia normale. Capisci cosa intendo dire? Tu oggi sei presa come me dal desiderio di viverci senza nasconderci, forse però abbiamo bisogno di più tempo da passare insieme per capire come sarebbe davvero se cambiassimo vita. Ho finito, non ho altro da dire. Ora la decisione spetta solo a te. Atterrita. Non riuscì a fare altro che strizzare gli occhi per permettere ad un'unica lacrima di baciarle la guancia. Lui l'abbracciò stringendola a sé, senza aggiungere parola. Le prese il viso tra le mani, aspettò che lei lo guardasse negli occhi e le rivolse una promessa ed una domanda, tanto insensate quanto necessarie in quel momento: "vorrei che rimanessi, io ti amo".

 

- 5 -

 

Si trasferì abbastanza distante da rendere ancora più difficile incontrarsi. Dopo la chiusura dello studio in cui lavorava, riuscì in brevissimo tempo a trovare posto all'interno di una grande azienda di produzioni cinematografiche e televisive. Aveva una partita IVA ed era iscritta allo spettacolo come produttore fonografico. Dovette cambiare auto, la vecchia utilitaria l'avrebbe abbandonata da lì a poco; per raggiungere la sua nuova abitazione, abbarbicata com'era in cima ad una collina, specialmente in inverno, ci sarebbe voluto un fuoristrada, con un motore capace ed un'affidabilità totale, vista la strada che l'attendeva ogni giorno per gli spostamenti di lavoro. Optò per un SUV, che prese nuovo, nero e in versione non proprio base. Lui la invidiò non poco per le sue possibilità e per la scelta, ma si chiese anche da cosa derivasse tutto quell'agio. Quando gli disse che non era ancora nei suoi programmi il rientro in UK, a lui si illuminarono gli occhi, non solo l'anima. Questa certezza, per quanto temporanea, lo fece riflettere in direzione sbagliata e lo indusse a credere di essere il solo motivo per cui lei avesse deciso di rimanere. Purtroppo, qualche giorno prima di Natale dello stesso anno, suo padre morì improvvisamente stroncato da un infarto. Come si deduce dalle morti improvvise, meglio per il morto, peggio per chi rimane. Partì immediatamente per Londra e fece ritorno un paio di giorni dopo l'Epifania; pochi giorni in più, ma che a lui sembrarono non passare mai. Lui non faceva parte di quella casa e di quegli affetti; per i suoi altri lui non esisteva. In realtà non era proprio così. Al suo rientro non era sola, portò con sé una cara amica che si offrì per spezzarle un po' la solitudine, specie dopo la morte del papà. Non vivevano più insieme da anni, anche a causa della separazione dalla mamma, avvenuta prima che lei si trasferisse in Italia, ma avevano coltivato un rapporto maturo, quasi da amici. Le era molto affezionata, ha sofferto a lungo. La simpatica amica londinese si prodigò per due settimane al suo fianco e, in quel periodo, anche lui ebbe modo di apprezzarne la simpatia. Fotografa specializzata in matrimoni e battesimi, a quel tempo, stava cercando di aprire una sua attività nella capitale inglese.


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Due o tre mesi dopo capitò una cosa in cui non avrebbero più sperato entrambi. Fino al mercoledì prima, lui era in fermento per via di una trasferta di lavoro che l'avrebbe portato via per una settimana, dal lunedì al sabato pomeriggio-sera della settimana successiva. Qualcosa, che credettero essere un segno divino o lo zampino di un improvvisamente magnanimo destino, fece saltare la trasferta a data da destinarsi. Non era tanto per il fatto di tentare di vedersi comunque quel paio di orette, una o due volte la settimana (ormai tale era il tempo a loro concesso), questa volta c'era di più. Lui non disse a casa che la trasferta era saltata e pensò di trasferirsi sì, ma da lei. Avrebbero potuto stare insieme più a lungo e chissà se, alla fine, avrebbero capito cosa fare. Lei non ne sapeva ancora nulla, per cui avrebbe potuto essere un fiasco. Lui, comunque, si tenne un margine di tempo di sicurezza. Quando glielo disse, dall'altra parte sentì la gioia profanarle la voce, impedendole di dire una sola parola. "Sei contenta?", "Se sono contenta?! Preparo tutto!". Tutto… cosa? Per lei "tutto" era il doppio accappatoio, il doppio set di asciugamani, cambiare le lenzuola al letto, fare una spesa più corposa ("spesa" era un numero maggiore di birre in frigo). Fece anche acquisti di biancheria intima un po' speciale, vista l'occasione. Lui, in quel momento, per lei era tutto, un tutto così completo da richiamarle sovente alla mente l'idea della protezione paterna; lei, nello stesso periodo, per lui aveva smesso di essere quel giochino di cui faceva uso per sopportare meglio la vita. Erano diventati importanti, erano un "noi" quando si esprimevano chiamandosi in causa ed avevano finalmente un domani, per il semplice motivo di essere insieme all'alba.

 

-7-

 

Quando arrivò, lei scese velocemente la scala esterna che, dal piano abitato, scendeva sulla terrazza. Il sole era al tramonto, il panorama mozzafiato si stagliava alle spalle di lei, imprigionandola tra fili verticali di fumo provenienti dai campi circostanti. Quell'immagine si fissò a fuoco negli occhi interiori di lui, così come l'odore delle stoppie bruciate dai fuochi d'autunno. Non lo sapeva ancora, ma quell'emozione gli avrebbe fornito, successivamente, il materiale su cui lavorare. Mancava solo la musicalità della sua voce, a completare quella bellezza quasi esasperata. Ed allora, eccola, fu esaudito: "Benvenuto, amore mio. Grazie per essere qui, benvenuto nella mia vita". Beninteso, lei non era affatto pratica con l'italiano. Forse un po' meglio parlato che scritto, ma non aveva ancora acquisito il pensare le sue frasi nella nuova lingua per cui, cercando di tradurle simultaneamente dall'inglese, creava degli arzigogoli che lui, invece, adorava. I discorsi erano fatti di parole semplici, tanti gesti e tante risate: innamorati come matti, trovavano ogni pretesto per un bacio, un abbraccio, una tenerezza e il suo modo di parlare ed i suoi strafalcioni linguistici lo inebetivano sempre di più. Furono la quintessenza dell'amore, che se mai avesse preso un volto, in quegli istanti, avrebbe preso il loro.


-8-

 

La prima sera, cena in piazza; un ristorante-pizzeria senza pretese e senza menù: erano in quattro su due tavoli e i tempi di attesa furono da sala piena. Ma a loro non importò più di tanto anche perché, dalla frenesia appena usciti di voler tornare presto a casa, si trovarono a fare i conti con un velato timore del dopo. In sostanza, sembrarono prendere tempo per evitare di affrontare il problema. L'aria era satura di tiepidi odori, quelle tenui fragranze della campagna autunnale che diventano profumi. Lui non era come gli altri uomini e questo aveva ammaliato la giovane donna che, fino a quel momento, aveva frequentato solo uomini rivelatisi, poi, persone superficiali. Lui non parlava di calcio o di automobili, come la maggior parte degli uomini italiani della sua età; era un uomo gentile, ma deciso; pieno di ideali e di convinzioni schiette e malleabili, sicuramente molto intelligente. Ma, in particolare, era un uomo riflessivo, di quegli uomini che iniziano a parlare chiedendo "come stai", che guardano negli occhi mentre discorrono, con cognizione di parte, dei più svariati argomenti. Con lui poteva parlare di arte, di politica, di psicologia e scoprì di avere altri luoghi comuni con lui. Lei aveva un'intelligenza fuori dal comune, con tutte le complicazioni che potevano conseguirne. Amava l'arte, i viaggi, il mare, la natura e gli animali, in particolar modo la musica, della quale fece la sua attività primaria. Amava l'amore e questo la poneva in una condizione di privilegio nel cercarsi dei guai: il suo approccio nei contatti con gli uomini, in particolare, venne spesso frainteso. Come già detto, lei era molto bella, alta, longilinea, sensuale sia nelle forme che nei movimenti e, se mi è concesso, aveva ottimi giusti nel vestire, malgrado fosse inglese. Forse spendeva troppo in scarpe e borse, ma… chi resisterebbe alla tentazione di indossare un paio di scarpe firmate o portare a spalla una borsetta di Prada? Camminarono lungo un viale scarsamente illuminato dai pochi lampioni gialli, si sedettero su di una panchina di cemento così piccola da chiedersi il perché. Per fare un po' di conversazione, e rompere un prolungamento insolito del silenzio che si era insinuato tra loro, gli chiese cosa amasse di più fare per rilassarsi. "Ti piace la TV, o il cinema, o preferisci leggere un libro?" le rispose che odiava la TV ed i suoi spettacoli preferiti erano la notte sulle colline, un giorno di vento, la pioggia, un temporale, la luna sul mare; magari passeggiare tra le persone frettolose quando lui di fretta non ne ha; un libro poteva essere uno stimolo per la fantasia, per le notizie c'erano i quotidiani, e per le notizie locali bastava il bar. Ad ogni sua parola, che ascoltava affascinata, lei assorbiva l’essenza del suo uomo fino a sostituirla alla sua. Aveva la percezione di conoscerlo da sempre e, in particolare, si fece strada in lei il desiderio di averlo solo per lei. L'amore, ormai, urlava in entrambi e l'unico mezzo che lei conoscesse per catalizzarlo ulteriormente in qualcosa di solido e meno astratto, era il sesso. Una cosa che però, con lui, non riusciva a prevedere o pianificare. "Se viene, viene. Perché forzarlo?". Quante volte se l'era sentito dire… Ebbri di emozione, profumi ed immagini; drogati dal fumo dei fuochi d'autunno e dalle parole che, ora più fluenti, penetravano nel loro io introducendoli in un mondo di favole, si incamminarono verso casa, lungo la stretta strada in salita, con pochi lampioni e troppi anfratti bui, dimenticando di essere scesi in auto. Se ne resero conto solo una volta arrivati sulla terrazza di casa. Si dissero che sarebbero scesi a fare colazione il mattino dopo e l'avrebbero recuperata. La luna illuminava il pavimento chiaro con un alone azzurro. Lei le si addossò poggiandosi con la testa sulla spalla.


-9-

 

Lui non chiuse occhio, tormentato e diviso tra la felicità dell’essere lì con lei, il chiedersi perché si fosse addormentata la prima notte insieme ed il rimorso che sembrava volerlo divorare da dentro, senza trovare un valido motivo per convincersi che sì, alla fine non era il maggior colpevole, se stava succedendo quello che stava succedendo. Anzi, ce lo aveva spinto lei tra le sue braccia. Scelse di non rinunciare proprio quel giorno a fumarsi una sigaretta. Lei dormiva ormai da un paio di ore e pensò di scendere in terrazza per non disturbarla e per non lasciare odore di fumo: lei non fuma e odia anche solo l’odore che rimane sulle dita di un fumatore. L’aria era frizzante, ma gradevole. Notò una differenza in più tra estate ed autunno; anche se in quella settimana le temperature diurne erano più infuocate di un inizio giugno, quelle notturne facevano già fumare il fiato. Qualche latrato lontano spezzava un silenzio quasi surreale; non c’erano più luci accese alle finestre circostanti ed ogni tanto un soffio di vento, che sembrava salire dalla valle, agitava le fronde del grande castagno alle spalle del giardino terrazzato. Fili di fumo resi fluorescenti dalla luce lunare, danzavano salendo lungo una verticale e descrivendo, come ballerine di danza del ventre, curve ed angoli morbidi in un cielo che appariva stranamente vicino a lui. Immaginò di essere al centro di un segno divino che gli suggerisse di toccare il cielo con un dito.  Raggiunse la consapevolezza, tra le ultime boccate di sigaretta, che niente è per sempre, come il fumo che tratteneva nei polmoni, come la sigaretta stessa che lo costringeva a cercare un posto in cui essere spenta; come quella sensazione di solitudine che lo avvolgeva e lo induceva ad allungare le ultime note di fumo per finire prima e tornare da lei. Eppure, volle rallentare volutamente i suoi gesti e ritagliarsi un po’ di tempo per cercare di memorizzare il più possibile quel momento, per crearne un ricordo perfetto, e lo mise da parte per un dopo che non sapeva quando e se sarebbe mai arrivato. Sperò che non fosse così presto. Tornò in casa, muovendosi nel buio di un ambiente che conosceva poco, cercando di raggiungere il bagno per lavarsi i denti, il viso e le mani e cancellare il più possibile le tracce di fumo rimastegli addosso, cercando di non scontrarsi con il disordine, per sempre provvisorio, gestito dalla sua compagna. Per analogia, gli tornarono alla mente tutte le volte in cui, dopo averla incontrata, cercasse un bar con bagno per controllare allo specchio la presenza di eventuali tracce e cancellarle. Lei aveva il pollice verde nel creare sogni e situazioni da incanto, ma in fatto di gestire il caos che creava nella vita di entrambi, non ne aveva per nulla. Le cose che “poi si sistemeranno...” fecero per sempre compagnia - furono parte integrante - della sua solitudine interiore, perché da quel momento in poi l’unica sensazione veramente condivisa con lui, furono la mancanza ed il senso di abbandono.


-10-

 

Se è vero che non è necessario un solo fiammifero per accendere il desiderio in una donna, con lei era vero il contrario. Dalla curiosità degli inizi all'apatia, sostanza diffusa nei suoi rapporti passati, lo spazio-tempo era molto breve. Ma questo non faceva di lei una donna di dubbia integrità, né mai si cimentò in rapporti clandestini alla ricerca di riempire i suoi vuoti. Il suo approccio col sesso era sempre stato più di serie B che di serie A, considerandolo più un mezzo per esprimere affetto e gratitudine che per sperimentarsi e soddisfare la propria curiosità. Ma lui non sarebbe mai stato in grado di concepire l’approccio puramente femminile che l’animava; quindi passò il tempo dell’unica sigaretta della giornata a chiedersi il perché lei si facesse bastare quel poco, quando avrebbe potuto pretendere, ed ottenere, di più. Quando, finalmente, raggiunse la camera da letto, non ce la trovò: si era svegliata, chiedendosi, un po’ timorosa della possibile risposta, dove fosse andato a quell'ora della notte, ed era andata in bagno. Al suo ritorno, sedendosi sul letto, gli disse: “quello che succede in questa stanza, lo dico principalmente per te, sarebbe meglio rimanesse chiuso qui dentro. Io ho poco altro da perdere, tolto te. Tu perderesti quello che hai costruito fino ad ora. So, da quello che mi racconti, che non sembri aver costruito chissà che, sentimentalmente intendo, ma il nostro rapporto non può essere la soluzione ai tuoi problemi, può invece creartene di nuovi. Non puoi tenere il piede dentro due scarpe…”. “Lo so” fu la sua risposta, “sono qui anche per questo, no?”. Lei non annuiva facilmente, aveva un modo diverso di esprimere il suo disappunto, piuttosto che l’essere d’accordo, rispetto alle altre persone; si limitava a guardare dritto negli occhi, in silenzio, come se stesse cercando, scavando, spostando quello che le impediva di vedere oltre e scoprire le cose si che celavano al di dietro. Iniziò a pensare che fosse un codice indaco, come gli suggerì una sua amica parlando di lei, al di là di ogni ragionevole dubbio. Dentro la stanza il tempo sembrava essersi fermato; fuori dei vetri si era alzato un po’ di vento, foriero di qualche temporale ritardatario e notturno di fine settembre; la luna era sparita, facendo piombare la stanza in un buio più convinto; associò sé stesso al bagliore del lampo e lei all'idea del brontolio del tuono: lei cercava la storia intensa sì, ma più duratura; lui era più incline alle cose a breve termine. Insieme, pensò, avrebbero fatto il botto. Fuori un lampo, indiscreto, mise in evidenza la verità nuda di quel momento: loro due, seduti di spalle sul letto ad una piazza e mezza, intenti a non toccarsi, a non guardarsi, a non parlarsi neppure, come in preda ad una offesa irreparabile. Poi lei, all'improvviso, si avvicinò alle sue spalle e lo abbracciò, addossando la testa sotto al suo braccio, come per proteggersi: “mettiamoci sotto al lenzuolo e abbracciami, ho paura dei temporali”. Allora era umana.


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Il mattino bussava fragorosamente sule finestre ad est, lasciando penetrare dalle imposte scostate lunghe lame di luce bianchissima: il temporale della notte precedente aveva cambiato direzione senza far cadere una sola goccia d’acqua, ma l’aria era frizzante. Era finalmente arrivato l’autunno, pensò. Si riprese con un sussulto: aveva fatto tardi al lavoro. Abitudinario com'era, non aveva impostato una sveglia nel cellulare, così era passato dal non riuscire a dormire al sonno profondo, senza svegliarsi neppure con l’orologio interiore. Si rilassò nel vederla addormentata sul cuscino accanto, col viso, e parte del cuscino stesso, illuminato da un riflesso colorato di giallo ocra, che rimbalzando tra parete e soffitto, le pioveva dritto addosso. Sembrava sorridere e, anche se così non fosse stato, a lui era piaciuto credere il contrario. Decise in quel momento di telefonare al lavoro e rimanere lì, con lei. La svegliò con un bacio sugli occhi chiusi, che sembrò gradire. Prima ancora di aprirli, aprì le braccia verso il suo uomo e le chiuse in un abbraccio serrato intorno al collo, tirandolo a sé. “Buongiorno”, “buongiorno”. “Riposata?”, “poco, ma più del solito”. Avrebbe voluto dirgli che aveva riposato di più perché c’era lui, ma non lo fece. Ci sono cose che una donna sa prima di aprir bocca, se si possa dirle o meno. Ed in questo lei era infallibile. Tempo addietro capitò che si prese uno spavento non da poco, a causa del figlio della vicina di pianerottolo, un uomo disabile e con ritardi mentali, sulla quarantina; già da qualche tempo si sentiva fissata; al suo arrivo, alla sua partenza da casa, quando si affacciava al balcone che dà sulla strada, lui era sempre lì. Era evidente che la stesse osservando di nascosto. Lei provò almeno un paio di volte a rivolgergli la parola, ma lui sembrava non stare neppure a sentirla e scappava in casa. Se in un primo momento la fece sorridere per la sua condizione, le volte successive iniziò ad incuterle timore. Fino al giorno, anzi la sera, in cui, tornata a casa non lo vide ad aspettarla, come al solito, seminascosto dalle tende della portafinestra sulla stanza buia. Scese dall'auto e, quando fece per aprire il lucchetto del cancello e togliere il catenaccio, si rese conto che la catena era stata tolta e lasciata a terra, attorcigliata in un angolo e senza lucchetto. Ritornò in auto di scatto, si chiuse dentro, rimise in moto e scese in paese. Una volta calmatasi, entrò nel solito bar e lo chiamò, spaventata, dicendogli che probabilmente il figlio della vicina era entrato in casa sua e che poteva essere ancora lì. Lui era a casa, non avrebbe potuto risponderle, lo fece solo perché, per pura combinazione, era in bagno in mansarda, distante dal resto della famiglia. Le disse, sottovoce, di non tornare in casa e che sarebbe arrivato da lì a poco. Con la moglie inventò di dover portare aiuto ad un collega rimasto senza benzina in auto e su una strada distante dai centri abitati. La moglie non ebbe motivo per non credergli e lasciò che partisse. La raggiunse in mezzora, più o meno, coprendo un tratto di strada che, di notte, richiederebbe un’ora di viaggio. Ma lei era in pericolo e per lui si era presentata l’occasione per dimostrarle quanto lei contasse veramente. Poco preoccupato, in realtà, conoscendo il potenziale pericolo che quell'omone invalido e ritardato potesse rappresentare per lei, si diede comunque da fare perché, alla fine, non si sa mai. La raggiunse al bar, prese un caffè, aspettando che finisse il suo the e lasciandole raccontare. Salirono alla volta di casa con entrambe le auto, lei a seguire, lungo la strada stretta e buia, che porta al borgo antico arrampicandosi vertiginosamente dal lato sud del colle. Quando arrivarono, si accorsero che il cancello era aperto per metà, come per lasciare lo spazio necessario al solo passaggio di una persona. Afferrò il coltello da caccia che porta sempre con sé nel borsello e scese dall'auto, facendo segno a lei di non aprire le portiere e di non scendere assolutamente dall’auto. Quando entrò attraverso il cancello e si trovò nel bel mezzo della terrazza, si voltò d’istinto verso la strada, più per memorizzare un eventuale spazio di fuga attraverso il cancello, che per un rumore che richiamasse la sua attenzione. Ma proprio in quell'istante, lo vide uscire zoppicante, ma stranamente veloce per il suo stato, dall'ombra del sottoscala alle sue spalle e varcare il cancello per poi richiuderlo dietro sé e tenerlo tirato per evitare che lui potesse seguirlo e raggiungerlo. Per qualche istante, si trovarono entrambi con le mani a contatto sulle stesse inferriate verticali; poi lui raccolse da terra il coltello, che gli era caduto nella concitazione di un attimo prima, e fece per puntarlo alle mani del mostriciattolo. Tanto bastò per farlo scappare dentro la porta d’ingresso dal lato strada, gridando e sbraitando come un matto, chiudendola dietro di sé. Lui gli corse dietro, ma non poté fare altro che battere coi pugni sulla porta e urlargli di uscire. Fu allora che si affacciò al balcone l’anziana madre, urlando e sputando come un lama, inveendo contro lui e lei, dicendo, in particolare su di lei, cose irripetibili. Decisero di lasciar perdere con l’ultima frase che tirava in causa una possibile denuncia alle forze dell’ordine, lei mise l’auto sulla terrazza e richiusero il cancello, senza trovare però il lucchetto che, a questo punto, il matto del primo piano doveva aver fatto saltare e buttato via. La mattina dopo, infatti, appena fuori dalla soglia del cancello carraio sulla strada, lei ne ritrovò l’archetto spezzato. Si era, ovviamente, fatto tardissimo e a lui non rimase altro da fare se non salutare e prendere la strada del ritorno, che percorse nella notte fonda, tra un martedì ed un mercoledì, con una angoscia - adesso sì - indicibile. Appena lui partì, lei si chiuse in casa a doppia mandata e serrò tutte le imposte e le finestre. Lui le tenne compagnia per tutto il viaggio al cellulare e, una volta arrivato, le scrisse in un messaggio che le avrebbe telefonato il mattino successivo e che se ci fossero stati ancora dei problemi, avrebbe dovuto chiamare prima i carabinieri e subito dopo lui. Ebbe modo di studiare quel senso di vuoto ed ansia che gli stringeva lo stomaco e gli soffocava il respiro che aveva provato mentre stava tornando a casa. Avrebbe voluto tornare indietro e rimanere con lei, solo con lei, per sempre con lei. Sembrava non esistere null'altro nella sua vita e che niente che non fosse suo poteva avere ancora importanza. Lei era ormai ovunque: i suoi occhi lo scrutavano nella luce del giorno come nei bagliori della notte; la sua voce sussurrava parole arcane che arrivavano alle sue orecchie nel silenzio come nei boati del traffico cittadino; le sue carezze erano nel vento che gli sfiorava il viso; la sua essenza nel cibo e nell'acqua di cui si nutriva. Ma c’era ancora tutt'altra realtà ad attenderli nel loro solitario svegliarsi. Per questo motivo, ed in segno di sfida verso il destino, lui decise di provare a stare con lei una settimana, accollandosi il rischio di mandare in frantumi un’intera vita, a fronte di una cosa che prendeva lentamente forma, vero, ma che sembrava comunque muoversi in una direzione differente da quella che lui avrebbe voluto.


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Lei guardò l’ora sul quadrante ticchettante del pendolo in cucina, strizzando gli occhi come per mettere a fuoco un’immagine poco chiara, e per poi spalancarli subito dopo guardandolo e dicendogli “Oh my gosh! Devi scappare, hai fatto tardi!!”. “No, non scappo da nessuna parte, ormai è troppo tardi. Resto con te, contenta?”. In realtà non poteva esserlo più di tanto, dato che i suoi programmi, di lavoro e non, l’avrebbero portata a Milano per tutto il giorno. “...sì, certo... solo che... vedi... io dovrei andare a Milano, e non credo proprio che tu possa venire con me... e poi ti toccherebbe aspettare tutto il giorno fuori da lì... se vuoi puoi aspettarmi qui, a casa; ti lascio le chiavi, ok?”. Lui, sicuramente un po’ deluso ed un po’ ferito nell’orgoglio, non si osò comunque contraddirla o ribattere: sapeva benissimo di essere entrato a piedi uniti nella sua vita e che crearci scompiglio sarebbe stato poco saggio. Annuì dicendo “ok, ti aspetto a casa ... e te lo sistemo io il vicino! A proposito, abita ancora qui con la vecchia?” “No, se ne sono andati la scorsa settimana. Non te l’avevo detto? Ora l’alloggio è sfitto... potresti venirci a stare tu...”. Cercò di dirglielo con uno sguardo provocatorio, ma gliene uscì uno come se già conoscesse la risposta. Era un’occasione perduta? Chi avrebbe potuto giurarci su? Diciotto anni in più sono tantissimi e questa era l’unica cosa che lui era in grado di ripetersi per convincersi a non affezionarsi troppo a lei, ad una lei che, ormai, era entrata nel suo cervello come una scheggia così profonda da non poter più essere rimossa senza causare la sua morte. Ma la morte non lo spaventava più, ormai; il pensiero di perderla, invece, lo atterriva e gli frantumava il cuore. La guardò andarsene con la grande auto nera; accolse il saluto che gli fece, con un movimento frivolo della mano, come se fosse stato un bacio; richiuse il cancello e si sedette su una sedia di plastica sulla terrazza. L’aria frizzante e tiepida del mattino autunnale gli diede un brivido di piacere, ma un solo istante dopo gli si affacciarono agli occhi della mente quelle immagini che rilasciavano continuamente un sapore fastidioso, amaro: il lavoro a cui non si era presentato, la famiglia ignara, i sensi di colpa ed il timore di essere scoperto; lei che lo lasciava. Su quest’ultima cosa era in grado di fantasticare per ore e finire, poi, per rovinarsi l’umore. Sentì la sua mancanza, pur essendo a casa sua, più che se fosse stato distante. Si disse che fosse perché era, comunque, in una casa che non conosceva e che, se anche era quella in cui lei abitava, di fatto non gli parlava di lei. Decise di entrare, più alla ricerca di un appiglio in cui poterla identificare e sentirla comunque vicina, anche se sarebbe stato volentieri al di fuori di quelle stanze. Vincendo il disagio del sentirsi un clandestino, quasi un ladro, si diresse dapprima in bagno, per aver appena scoperto di dover fare una pipì interminabile, poi in cucina, dove lavò due tazze lasciate nel lavandino; infine in camera da letto in cui si fermò ad osservare una scena vissuta appena qualche ora prima eppure così impersonale e fredda, come se non ci fosse stato affatto. Parte dell’abbigliamento di lei era sparso tra letto e scendiletto; raccolse la brasiliana di pizzo nero appallottolata e, con moto istintivo, la portò con un brivido al viso; sentì il suo odore, o meglio, un odore che attribuì arbitrariamente a lei; in realtà era semplicemente il profumo che portava tra collo, seni ed interno cosce, quello stesso profumo che diede il nome ad altri racconti e ad un blog, “Cinque gocce di Opium”, oggi chiuso. La canottiera, anch’essa di pizzo nero, era stranamente allargata, come riposta volontariamente, pure sullo scendiletto. Un paio di jeans lo guardavano, seduti con le gambe incrociate dalla poltroncina di fianco al comò della nonna. Erano gonfi come se lei ci fosse ancora dentro, ma in realtà celavano solo un bel po’ di altri capi di abbigliamento che lei aveva posato disordinatamente al di sotto di essi.  Cercò di capire cosa fosse da lavare e cosa da ripiegare; annusò tutto, riscontrando sempre gli stessi odori, lo stesso profumo; e non poteva immaginare quanto stesse facendosi del male creando quella indissolubile memoria olfattiva. Sembra, infatti, che il ricordo dei visi affievolisca nel tempo, ma i profumi non in uguale misura. Al centro delle sue operazioni di riordino, dopo aver rifatto anche il letto, constatò come lì dentro ci fossero solo segni della presenza di lei e niente di lui. Era come se non fosse mai stato lì. Si sentì ancora più solo e fuori posto. Si chiese anche, e a ragione, se lei non si sarebbe infastidita, al suo ritorno, per il fatto che lui avesse messo il naso in cose che non lo riguardavano affatto. Si guardò intorno e, vincendo l’istinto di rimettere tutto com'era, si accorse di una quantità enorme di scatole, cassettine porta gioie e sarcofagi simili, che ritenne fossero custodi di chissà quali inconfessabili segreti. D’altra parte, lei non avrebbe avuto il tempo materiale per far sparire cose scomode; non poteva immaginare che lui si sarebbe fermato lì senza la sua presenza. Aprì il primo cassetto del comò, che scorse con difficoltà sulle guide secche. Al suo interno, stranamente in ordine, c’era un repertorio non indifferente di biancheria intima, di tre o quattro colori diversi. Il pizzo era il più ricorrente, tra le slip di tipo brasiliana e le canottiere. Nella fila di cassetti piccoli ai lati di quelli grandi e centrali, il primo in alto a destra custodiva diversi collant usati, autoreggenti, calze a rete, ecc.; quello subito sotto le stesse cose, ma ancora impacchettate; gli altri tre erano vuoti. A sinistra erano anch'essi tutti vuoti. I due centrali più grandi contenevano altra biancheria da letto e due accappatoi di taglia grande, presumibilmente da uomo. Insomma, a parte i due accappatoi, non c’era alcuna traccia di presenza maschile in quella stanza e, forse, era l’unica cosa di cui lui era effettivamente in cerca, frugando nei cassetti di una vita che non gli apparteneva. Si scoprì geloso e sospettoso; molte cose di lei, del prima ed anche, cosa ben più preoccupante, del dopo averla incontrata, gli erano poco chiare se non sospette. Ad esempio, non parlava quasi mai della sua famiglia, se non del fatto che i suoi erano separati e che suo fratello suonava in una band; aveva profili social sotto mentite spoglie e senza foto, tra i quali uno in particolare in cui aveva persino accoppiato al suo un secondo nome maschile. Amici? Quando lui andava a trovarla, quando si incontravano, il telefono restava sempre muto, non riceveva messaggi e sovente lo lasciava incustodito il tempo necessario a vederne il contenuto, se solo avesse voluto; infine era sempre sola, non frequentava nessuno, a parte gli implicati nel suo progetto di lavoro. Sovente parlava di amici ed amiche generiche inglesi, ma non di una vera amica, di quell'amica intima che sempre hanno le donne, specie in giovane età, come lei. Più avanti, prese a frequentare una ragazza, poco più grande di lei, implicata nel suo progetto di lavoro, che in realtà conosceva bene anche lui, essendo dello stesso paese e sorella di una vecchia conoscenza di quando era ragazzo, ai tempi della scuola. Piccolo il mondo! In seguito, anche lei si trasferì nel milanese per ragioni di lavoro. Sul comò c’erano diverse scatole e scatolette in legno lavorato, contenenti qualche gioiello, per lo più bijou; Una in particolare attirò la sua attenzione, essendo la più grande: lunga una ventina di centimetri, larga dieci ed alta circa cinque, era apparentemente vuota, sembrava contenere solo un fondo d’appoggio per un oggetto di forma cilindrica, ma si sentiva sbattere qualcosa al di sotto della sagoma coperta di raso rosso, sembrava esserci qualcosa nascosto sotto. Pizzicò il raso e, tirando verso l’alto, scoprì nascondere un doppio fondo in cui trovò una tasca in plastica rigida, probabilmente scollata a giudicare dai residui di colla, con un bigliettino in carta ripiegato su sé stesso. Il cuore iniziò ad accelerare e gli tremarono le dita. Si chiese il perché di quella immotivata emozione: qualunque cosa vi fosse scritta, non lo avrebbe riguardato di certo. Lo sfilò, cercando di osservare esattamente come fosse messo, per poi rimetterlo come trovato; c’era una data ed una breve frase, scritta in una calligrafia tondeggiante “...nel caso ti mancassi! E.”. La data risaliva ad un paio di mesi prima, non abbastanza per lasciarlo fuori dal quel ricordo. “Allora c’è qualcun altro”, fu il primo ed unico pensiero che riuscì a farsi venire in mente sul momento.


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Rilesse per due o tre volte il contenuto del minuscolo foglietto di carta, lo ripiegò con dovizia ed attenzione e rimise tutto apposto, come per nasconderlo alla sua vista. In realtà lo seppellì in fondo al suo inconscio; infatti, da quel momento, non smise un attimo di pensare a chi potesse essere il misterioso "E." del biglietto. Fantasticando, si disse che la scatola, così anonima a vedersi, fosse stata sicuramente il contenitore di un simulacro fallico, regalatogli da un focoso personaggio con cui lei aveva avuto dei rapporti e col quale, sicuramente, avesse estrema confidenza - lui non si sarebbe mai osato a regalarle un oggetto del genere. Aprì l'antico armadio a tre ante aspettandosi, a questo punto, di essere investito da chissà quale solida verità, magari lo stesso "E.". Trovò, invece, cappotti, giacche, tailleur, gonne appese e jeans piegati e riposti al fondo. Anche in quel vano, mischiato ad un odore dalla tonalità di muffa inglese, c'era l'essenza del suo profumo e, quindi, di una presenza che continuava ancora a sentire distante da lui. Con un sottile senso di delusione, per non aver trovato altro, si chiese come mai in quella casa, apparentemente, non fossero custoditi medicinali, cerotti, disinfettante o cose del genere. Animato da quel pensiero, si mosse verso il bagno. C'era un mobile a specchio appeso sul lavabo, con tre ante; al suo interno attrezzi per la depilazione, ceretta a freddo e strisce a corredo; dietro una delle ante laterali, c'era un deodorante per il bagno, uno per la persona, una bomboletta di schiuma depilatoria. Si chiese come sarebbe stata senza depilarsi, a quel punto. Dietro l'anta dal lato opposto, una serie di rotoli di carta igienica completava lo spazio vuoto. Rimaneva in lui il pensiero della scatola che, però, non era certo contenesse ciò a cui aveva pensato. Ma, anche se fosse stato, dov'era finito l'oggetto??

Lei arrivò intorno alle 18,30; lui aveva trovato una sua collocazione sul divano di fronte alla TV in salotto. Non aveva pranzato, perché in quella casa, a parte il tè, sembrava esserci nulla di commestibile; inoltre lei gli disse che gli avrebbe lasciato le chiavi, ma lui non le trovò da nessuna parte. Avrebbe voluto uscire a comprare qualcosa, ma non se la sentì di allontanarsi senza chiudere; inoltre avrebbe potuto rimanere chiuso fuori. Non volle neppure disturbarla telefonando, ma questo motivo non era quello credibile: in realtà lui, fantasticando, la immaginò a far sesso con chissà chi e non avrebbe mai voluto che lei gli rispondesse in un momento come quello. Desistette e si procurò il necessario per passar giornata. Stufo del panorama, bellissimo, ma ancora caldo, si spostò in casa e lì rimase fino, appunto, al suo arrivo. "Hey! Are you fine?" - "Certo, perché?" - "Sembri assonnato…" - "Vero, ho sonno; ma credo sia più fame" - "Dove hai fatto pranzo?" - "Dove avrei voluto andare, dovresti dire! Dove hai lasciato le chiavi di casa? Non ho potuto uscire perché non avrei potuto chiudere! Ma non tieni niente da mangiare in casa??" Rise fino alle lacrime, lo prese per mano e lo portò alla porta di ingresso; alla sinistra, lato apertura, sul muro si distingueva chiaramente il pomello di uno sportello a raso, verniciato in tinta col muro. Lo aprì e gli mostrò il mazzo di chiavi tanto agognato appeso ad un gancio nella nicchia. "Perché non mi hai chiamata?" - "Non volevo disturbarti, che ne sapevo di cosa stessi facendo…" - "Facendo? E bravo scemo!". Lo si sentì per davvero. "Quindi non hai pranzato? Va bene, dammi il tempo di farmi una doccia e di cambiarmi e andiamo a cena. Faccio in fretta, non lavo i capelli… tu piuttosto mi fai un tè caldo? Grazie!" In quel mentre entrò in camera da letto; poggiò la borsa sul letto rifatto e si bloccò di scatto, come se si fosse resa conto solo in quell'istante dell'ordine che imperversava in camera. Lui aveva anche scopato, spolverato e lavato dappertutto: alla fine di tempo ne aveva, eccome. Temeva la reazione di lei che, in realtà, fu più stupita che contenta e più incuriosita che infastidita. Gli fece solo notare che non era il caso e che, in fondo, preferiva che lui non lo facesse più. "Non ho niente da nascondere, ma questa è casa mia, contiene me e le cose della mia vita; ci sono cose delle quali vorresti chiedermi il perché e il percome ed io, sinceramente, non mi sento ancora di condividere tutto con te. Ora sei arrabbiato, vero?" - "No che non lo sono" - "Si che lo sei! Te lo leggo negli occhi. Comunque, il mio non è un rimprovero, sono contenta che tu sia qui, con me; dammi solo il tempo di metabolizzare la tua presenza, ok?" - "Ok!".


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Si fece la doccia, come da programma. Lui non rimase in bagno con lei, anche perché gli era sembrato che lei aspettasse che lui uscisse per iniziare a spogliarsi. Andò in cucina, mise l'acqua nel bollitore elettrico e lo accese; prese qualche bustina di tè dal mobiletto, uno per aroma, e si rese conto di non sapere minimamente quale avrebbe preferito. Prese due tazze e, per lui, sarebbe stato il terzo tè della giornata. In meno di cinque minuti l'acqua iniziò a emettere, dal bollitore, un suono crepitante e profondo amplificato dal mobile vuoto su cui poggiava. Entrò nel bagno e si avvicinò alla porta del box doccia - "per quanto ne hai? L'acqua bolle" - "Versa, versa! Arrivo!". Questi colloqui, da che era arrivata, sembravano già stanchi ed annoiati, di già ammazzati dall'abitudine. Lui non voleva questo. Eppure si accorse, per lì, di avere sonno e di non avere affatto voglia di uscire; dov'era finita l'eccitazione del passare una settimana con lei? Se l'era bruciata in una sola notte? Uscì dal bagno ancora in accappatoio, camminando a piedi scalzi e lasciando tracce d'acqua colata dappertutto. Prese la tazza di tè nero senza zucchero e si diresse verso la camera da letto - "Tu sei apposto? Io mi metto qualcosa e scendiamo. Puoi iniziare a chiudere tutto? Grazie!" - "Si, apposto…". Se era tranquilla era meravigliosa, se aveva fretta o era indispettita da qualcosa diventava scontrosa e odiosa. Ed era il primo passo indietro nella loro storia. Ovviamente lui non consumò l'ulteriore tè. Lei era molto bella, ma la bellezza del suo corpo, ora, gli appariva disgiunta dal suo essere, come se lei ed il suo corpo fossero due cose diverse: una lei bella, fiera, imperativa ed una lei antipatica, presuntuosa e poco incline a concedergli uno spazio nella sua vita. Magari si stava sbagliando, ma il fatto che lo avesse avvertito a fior di pelle era già sintomo di una malattia più profonda, che avrebbe infettato entrambi da lì a poco. Quando finalmente fu pronta, si furono fatte le 19,30. Decisero di fare una passeggiata e, quindi, scesero a piedi. La realtà dei fatti fu il fastidio del dover manovrare entrambe le auto per tirarne fuori una. La conversazione lungo la strada fu abbastanza scontata e banale, status ingigantito dal fatto che (lo ricordo, ndr) il discorrere subiva i limiti della lingua diversa ed i contenuti erano condizionati dalla conoscenza; parlare di politica o di attualità, ad esempio, risentiva molto di conoscenze diverse di fatti diversi. Anche parlare di loro stessi e della loro situazione poteva essere pericoloso, in quel momento, visto lo stato d'animo di entrambi. Quindi ascoltarono il suono dei loro passi fin quasi in piazza. Si tennero per mano, come in una coppia in cui ci si sorregge a vicenda, e lui notò come la sua mano non fosse in grado di scaldare quella di lei, fredda per sempre. Un altro ricordo perfetto. Che sia vero il detto mani fredde, cuore caldo? Ma chi l'ha detto la prima volta, ebbe mai incontrato una come lei? Si sedettero al tavolo che più appagasse la vista sulla piazza, favoriti dall'essere i primi avventori del ristorante-pizzeria; mentre aspettavano che qualcuno si accorgesse della loro presenza, lui prese un discorso scomodo - "vorrei chiederti una cosa, se posso e sperando che non ti faccia arrabbiare…" - "Beh, se esordisci così…." - in effetti riconobbe di aver sbagliato formula. - "Mentre mettevo apposto sul comò, stamattina, non ho potuto fare a meno di notare quella scatola in legno intarsiato a mano… molto bella; da dove proviene?" - pensava che, giocando d'astuzia, sarebbe riuscito a farla parlare e, magari, a capire chi si nascondesse dietro al misterioso biglietto. "Ah, quella… bella, vero? È stato un regalo, niente di ché. Solo mi dispiaceva buttarla, così l'ho tenuta" - "Ma è sempre stata vuota? Sembrava un imballaggio su misura per qualcosa di specifico…" - "E cosa? Che ti suggerisce la fantasia? Sembri molto interessato…" - "Bah, nessuno regalerebbe una scatola usata da qualcosa che non c'è più dentro! Ma che razza di regalo sarebbe!?" - "Curioso!". E non gli disse nulla, fece cadere il discorso approfittando del fatto che, nel frattempo, si era avvicinato il cameriere. Rifletté sul fatto che sapere la natura del contenuto della scatola senza conoscere il generoso fantomas, gli avrebbe creato un bel po' di fastidio in più. Scelse di lasciar stare, almeno per quella sera, consapevole che se avesse avuto qualcosa da nascondere, certo non gli avrebbe detto nulla.


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L'aria, appena usciti sulla piazza antistante il ristorante, lì avvolse frizzante e profumata di fumo, come al mattino, sulla terrazza, avvolse lui lasciato solo. Pochi uomini seduti ad un tavolo di plastica fuori del bar di fronte, smisero per un istante di parlare, immersi in una nuvola di fumo di sigaretta, e li scrutarono commentando qualcosa sottovoce. Fece seguito una breve risata collettiva ed una voce che disse "Ah, tu! Pensi sempre a quello!". Era evidente quale fosse il commento principale e diretto a chi. Quella sera non era vestita in modo appariscente, ma le curve sensuali e l'aspetto slanciato si facevano notare anche in jeans e giubbetto. Aveva i capelli legati, il che conferiva ai suoi capelli un colore più scuro; ma in quanto agli occhi, le luci della notte esaltavano la grigia luminosità delle chiarissime iridi. - "Gli uomini che parlano continuamente di sesso, non ne fanno mai…" - e questa fu la sua constatazione, per tutta risposta, ai commenti ricevuti. Profonda conoscitrice del mondo maschile, difficilmente si poteva ingannarla o eludere i suoi affondi. Passeggiarono lungo la strada poco illuminata che dalla piazza porta al viale della rimembranza, in direzione del cimitero. Data l'antichità del borgo, circa del XII secolo, conservarono il luogo sacro facendo sorgere l'attuale cimitero sulle ruderi di un antico cimitero romanico, dominato dai bastioni della pieve. Quello non è il classico cimitero che incute timore, specie di notte; ma, obiettivamente, non è neppure un posto in cui andare a passeggiare in coppia. Eppure quella sera, nell'aria, qualcosa si ostinava a dimostrarsi speciale, fluttuando tra le mille sfumature di odore dei campi di notte, un odore unico che non rassomiglia a nient'altro. Lei prese la parola, spezzando un silenzio fin troppo tenace - "Oggi sono stata un po' scortese, con te. Non volevo rimproverarti, anzi, avrei dovuto ringraziarti. Il fatto è che per un attimo ho avvertito un senso di intrusione, non ne ero preparata, non potevo immaginare che lo avresti fatto. Te la sei presa, vero?" - "Se me la fossi presa, me ne sarei andato" - ma entrambi sapevamo che le cose non stavano proprio così. Poggiò la sua testa bionda sulla spalla di lui e nulla, in quel momento, sembrò essere più importante che l'averla lì con lui. "Perdonata?" - "perdonata!". Di questo conservò un altro ricordo perfetto.


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Stringerle la mano sembrava non appagare la voglia di raccontarsi e di trovare conferme di ciò che aveva dentro. Avrebbe voluto che lei dissipasse i dubbi, il disordine e le incertezze che rendevano difficile il suo camminare, che potesse far guarire anche quelle cose di cui non era affatto responsabile, primo tra tutti il suo male di vivere. Era cosciente del fatto che, prima o poi, l'ostacolo della differenza di età e la loro clandestinità sarebbero diventati insormontabili, ed ogni tentativo di rimanere insieme nascosti avrebbe potuto farsi non senza rischiare di rimanere offeso a vita, precipitando rovinosamente. Eppure, pensare di rinunciare a lei, lo terrorizzava più che l'idea di smettere di fumare. Si chiedeva quale schema mentale fosse così radicato in noi stessi da farci sentire sporchi nell'amare un'altra persona e nel desiderare di mantenere una situazione di favore, se vogliamo, perché lei rappresentava la libertà, l'amore che mancava, la tenerezza mai avuta, il dare senza chiedere. In realtà, ciò che aveva in mano era una libertà legata, un amore forzato, una tenerezza fittizia, il chiedere senza mai dare, ed una fottuta paura di essere visto ovunque andasse con lei, ultimamente anche senza. Ma se davvero era amore, perché non lasciare la moglie e mettersi con lei? E qui intervenivano quelle sfumature di pensiero che dall'inconscio arrivano alla mente, condizionando il nostro modo di vedere e di percepire la realtà che ci circonda. Le donne discriminano naturalmente tra cosa è reale e cosa no, così ben collegate al loro io profondo; non si può dire altrettanto per l'uomo, che tende a fare un mucchio in cui confluiscono le sensazioni provenienti da ovunque, anima e mente, pensiero e corpo. Per questo motivo, sovente, si sente dire che gli uomini ragionano con il pisello, e mai che le donne ragionino con la patata. Ve lo siete mai chiesto il perché?

A mezzanotte dello stesso giorno aveva già cambiato idea quattro volte: "chiuso, non mi vuole più"; "non posso fare a meno di lei"; "non può fare a meno di me"; "non potrò mai lasciare mia moglie". E su quest'ultima cosa, era più facile che non si fosse sbagliato. Il fatto è che la sua non era vigliaccheria, ma semplice voglia di tenere entrambe le cose, il piede in due scarpe; aveva fatto di una situazione scomoda la sua comfort zone. Ebbravo, lui! Non aveva tenuto presente i bisogni di lei che, non si fecero attendere più di tanto, vennero a galla. "Mi devi qualcosa di più di quello che mi dai" - "in che senso?" - "come 'in che senso?', nel senso che mi aspetto qualcosa di più, qualcosa di importante. All'inizio tutto va bene; la passione, le briciole di tempo che la accrescono… ma poi non basta più. Voglio un po' di normalità, di stabilità; voglio cercarti quando ne ho voglia, voglio vederti quando, la sera, mi sei mancato tutto il giorno. E mi fa strano il fatto che tu mi racconti di un grande amore, quando poi accetti queste condizioni. Secondo me, sei solo infatuato." Cruda, diretta, senza mezzi termini, erano solo tre delle caratteristiche che la contraddistinguevano dalle altre donne e con le quali manifestava il suo carattere forte, certe volte in eccesso di mascolinità. "Io credo che per me, oggi, sia stata una pessima giornata. Perché ce l'hai con me? Che ti ho fatto?" - "niente, mi hai fatto. È che la tua normalità non corrisponde alla mia. Tu senti che sia tutto apposto così, beh, io no. E poi sei diventato sospettoso e geloso, quasi possessivo" - "ti riferisci alla storia della scatola di stamattina?" - "anche, perché no?" - "non ci ho guardato di proposito, è che mi è caduta mentre spolveravo e si è aperta" - "e cosa ci avresti visto dentro? Cosa pensi di aver scoperto?" - "non lo so, dimmelo tu" - "non mi piace questa cosa, comunque. Sarò padrona della mia vita? Ascolta, tu sai, e ne puoi essere sicuro, che io sto con nessuno. In questo periodo, se ti va credici, sto solo con te. Non ho capito per quale motivo anche tu devi pensare che una come me debba fare sesso tutti i giorni, se no non è contenta! Ma che cavolo! Mi fa troppo arrabbiare questa cosa! Prima di farlo la prima volta con te, erano almeno tre mesi che non lo facevo. Vuoi ancora che ti dica cosa conteneva la scatola, o ci arrivi da solo? Io, invece, ho la certezza che tu, a letto con tua moglie, ci vai eccome!" - non facciamo nulla da un pezzo" - "lo dici tu! Che ne so io? Comunque è stato un regalo di (E. ...), diciamo uno scherzo tra amiche. Contento?". "Se continuerò a collezionare brutte figure, finirà per stancarsi", ripeté tra sé e sé. Era lì, su di una panchina strettissima in cemento, che invogliava ad abbracciarsi con la sua amante, ed invece stavano a litigare come una coppia stanca. C'era qualcosa di perverso in tutto questo, più perverso del fatto che sì, loro erano due amanti, due clandestini reietti, una vergogna da nascondere alla società. Ma loro si sentivano solo sfortunati per non poter vivere insieme, per non potersi vivere completamente. Anche lei, all'apparenza così arida e dura, non passava giorno senza riflettere sul fatto che, al di là di lui e di come era, il problema insormontabile era l'amore che li rendeva fuggiaschi e impuri. Lei lo amava, lui la amava. Quando erano insieme, così nascosti uno dentro l'altro, il mondo all'esterno sembrava non poter nuocere al loro amore. Loro esistevano solamente stando insieme, e facevano di tutto per incontrarsi e continuare ad esistere. Era la loro maledizione, la punizione per essersi trovati, un giorno, troppo vicini negli stessi bisogni, dopo aver messo nel piatto che piangeva due pezzi di vita come posta ed essersi scoperti molto più che affini. Si incamminarono, stanchi, verso casa. Ciò che accadde quella notte, ha ancora oggi importanza solo per loro. È un loro ricordo perfetto.


-17-

 

Il mattino successivo, la sveglia lo riportò alla realtà alle 04:00. Riuscì a vestirsi, lavarsi faccia e denti e ad uscire in pochissimo tempo: la strada del tornare sembrava essere sempre più lunga del suo contrario. Accettò il sacrificio per riuscire ad uscire alle 14:00, anziché alle 17:00; un gran guadagno di tempo da passare con lei. Tra dovere, potere e volere, scelse il dovere, anche se con una paura non innaturale nel mettere e togliere l’automobile dal parcheggio della ditta in cui lavorava, e costretto sempre in posti diversi: il rischio che qualcuno mangiasse la foglia ed andasse a controllare, che qualcuno sapesse, che qualcun altro vedesse, che altri ancora sentissero ... no, non poteva andare avanti così. Ma che diavolo! Un po’ di tranquillità, un po’ di pace meritata, perché alla fine non era solo un desiderio legato alla carne quello che lo portava da lei, ma anche, e soprattutto, al cuore. E scusate se sembra una scusa banale la necessità di sentirsi desiderato, di sentirsi apprezzato ed importante e, perché no, ancora piacente. La carne ed il cuore che insieme lui non aveva mai trovato, prima di incontrare lei, prima che tutte le pareti del suo cuore fossero riempite di quel nome così musicale alle sue orecchie. Quando ci si innamora di un’altra persona, non sempre è per girare lo sguardo al nostro partner, ma alla persona che siamo diventati, perché non ci piacciamo più, perché non stiamo più bene neppure con noi stessi, figuriamoci con chi ci sta insieme, magari, da anni. E tutto questo, al contrario di ciò che si può pensare, centra ben poco col sesso, con la carne di cui parlavo prima. E’ più una questione di spirito, di desiderio di affermazione, ma anche di desiderio di cose semplici che si sono perse negli anni. Se il nostro partner non è più in grado di farci sentire ai primi posti della classifica della nostra vita, l’autostima rischia di calare. Qualcuno è ben propenso ad accettare questo declino, lui non ne è stato in grado. L’energia frizzante della giovane età di lei - diciotto anni in meno non sono uno scoglio, ma una montagna - aveva fatto sì che lui ritrovasse un sè vissuto poco e presto dimenticato e lei una figura imponente nella sua vita, un porto sicuro in cui ormeggiare in caso di burrasca, una forma paterna presente e rassicurante, non certo come suo padre, separato dalla madre da anni e molto poco presente con lei e suo fratello minore. Questo è forse anche il criterio predominante con cui una donna cerca il suo uomo. Lui non voleva una mamma; lui voleva una donna.

La giornata di lavoro era stata noiosa ed interminabile; anche se il primo turno risolveva la sua fame di tempo, non poteva nulla contro gli impegni di lavoro di lei, che aveva orari molto instabili. Poteva solo pregare che non le capitasse di fare tardi, o sarebbe stato di nuovo da solo in una realtà che, senza lei, era ovviamente priva di significato. Era già metà della settimana e in lui l’idea dell’avvicinarsi del venerdì, e quindi della fine della loro prima settimana insieme, stava già per abbassare l’erpice e solcargli l’umore. Questa nuova spinta emotiva gli fornì il materiale con cui costruire l’idea di tornare a vivere un’esperienza simile in un futuro prossimo, ma questa volta entrambi liberi da impegni di lavoro. Non era semplice né per lui, per ovvi motivi, ma neppure per lei, che in quel periodo era indispensabile per la sua attività. Sarebbero riusciti a trovare un punto di congiunzione, un luogo in cui nascondersi mischiandosi tra la gente e non tra mura che non gli appartenevano e custodivano ricordi imperfetti come fantasmi da esorcizzare?


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Stranamente lei arrivò prima del solito, appena un'ora dopo di lui. Lui diede per scontato che si trattasse di un caso, ormai propenso a dover fare i conti con i tagli al loro wellfare operato da lei. In realtà fu lei a decidere di interrompere per passare più tempo con lui. Non apprezzò il fatto che lui sembrasse ignorare questo evento e glielo fece notare - "beh? Non sei contento che sia riuscita a staccare prima? Ma l'hai notato, almeno?" - "Ascolta, se non mi vuoi più non hai che da dirlo, ed io me ne torno a casa mia. Passo e chiudo. Non è che tutte le volte che ci vediamo dobbiamo avere da dire, però! Accidenti come sei diventata!" - "Voglio che lasci tua moglie. Non credo che ci siano altre cure a questa malattia. E voglio che tu lo faccia entro la fine della settimana altrimenti, guarda… è meglio che lasciamo perdere, prima che quello che c'è tra noi venga fagocitato da questo buco nero". Ormai, era chiaro, qualsiasi cosa diventava pretesto per saltargli addosso ed aggredirlo. Cercò di darsi una spiegazione dicendosi che, forse, era il suo modo di amarlo e che non ne conoscesse un altro migliore. Ma, come giustificazione, faceva acqua dappertutto; lei non mostrava avere la benché minima voglia di essere diversa da così. Probabilmente lo amava, o l'aveva amato e l'avrebbe ancora amato in un futuro ristretto, fatto di ostacoli e contraddizioni e di tutto ciò di cui lui aveva avuto timore. Si chiese se non fosse il caso di farla finita. Dopo questo ennesimo tentativo andato male, la vita non sembrava più valere la pena di essere vissuta. Sentiva che chi lui pensava potesse salvargli la vita, in realtà, gliela stava togliendo. La guardava mentre, consapevole colpevole di aver esagerato, pian piano stava cambiando l'espressione del suo bel viso e, nel momento stesso in cui lui credere che stesse per sorridergli, si accorse che quell'espressione divenne pianto. Lo abbracciò buttandogli le braccia al collo, bagnandogli di pianto e trucco la spalla si cui poggiava col viso e gli pronunciò una frase così sperata, eppure così assente nella loro relazione; due semplici e brevi parole che contenevano la scommessa di una vita - "ti amo!" - e ne fecero il loro ricordo perfetto.


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Arrivò il venerdì. Erano seduti sul suo letto, alle quattro del mattino, dopo una notte, passata a non dormire, che volgeva al termine. Si sentiva nell'aria il canto dei merli, appena prima dell'ultima alba insieme. Si sentiva, nell'atmosfera che li avvolgeva, il senso grave e pesante della loro situazione e della loro relazione che stava per finire. Lei aveva deciso di andarsene, di tornare al suo paese. A lui non rimaneva molto, se non il ricordo di quel luogo, vissuto da protagonisti, ma su un palco con un sipario in chiusura. Ci furono altri due tentativi per mettere insieme questi cocci che, di stare appiccicati, proprio non ne vollero sapere. Lei gli avrebbe dato tutto ciò a cui lui ambiva, ma, ingannato dal suo modo di porgerglielo, pensò che non ne fosse in grado. E creò i pretesti per arrivare allo scontro su qualunque cosa; due titani che si combattono per prendersi una ragione che già hanno tra le mani. Lui l'ha andata di un amore semplice sì, ma intenso. Altro non sapeva fare per dimostrarle quanto lei fosse importante nella sua vita, ma non avrebbe mai avuto il coraggio di lasciare la sua casa, la sua famiglia, per lei. Non che non lo meritasse, ma era stanco ed incapace di intraprendere qualunque azione di forza. Subentrò uno stato di debolezza che lo rese schiavo di malumori e rassegnazione e, nel giro di poco tempo dalla sua partenza, arrivò uno stato di profonda apatia e, quindi, di depressione. Lei non fu più felice di lui, per lungo tempo riuscì a liberarsi da questo ricordo perfetto che quotidianamente andava a cercarla e, quotidianamente, la trovava ovunque fosse e qualunque cosa stesse facendo, senza chiederle il permesso. Desiderò di tornare per riprendersi lo spazio tra le sue braccia, che credeva legittimamente proprio, e nella sua vita, che ora sì che avrebbe dovuto voler salvare. Ma...


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Lui si chiuse in sé stesso, niente aveva più senso, niente più avrebbe potuto essere salvato. Vedeva il mondo che lo circondava freddo, inutile e vuoto; niente più valore, mai più il calore di una carezza, di un bacio, la consolazione della mano di chi, un tempo, l'aveva amato davvero. L'aveva persa per sempre. Un giorno seppe, da E. (l'amica comune della famosa scatola, l'inizio del loro declino, ricordate?) che lei aveva operato qualche cambiamento molto profondo, nella sua vita, nella sua consapevolezza e nel suo essere: aveva trovato sé stessa, il posto al sole che stava cercando, anzi, ai piedi di un arcobaleno. Ci fu qualche episodio in cui lui notò degli atteggiamenti… diciamo poco femminili, ma, conoscendola, non gli diede peso, né ne fece un caso. Lei ebbe il suo matrimonio arcobaleno e coronò, di fatto, la sua vera essenza. Lui sprofondò in una materia buia e appiccicosa dalla quale non riuscì più ad uscire. In particolare, non ricordava più dove fosse finito il suo ricordo perfetto…. di lei.

"Prendi il buono e mettilo da parte diceva, prima che la tristezza diventi malinconia e poi … e poi non si ricordava, lui non ci era arrivato a quel punto, la sua era tristezza semplice, senza gradi. Tristezza semplice, da riformare in caso di guerra. E quindi prendi il buono, cucinalo se ti riesce e portalo a spasso una volta al giorno come il cane (il buono ha i suoi bisogni). Metti una scheggia da qualche parte, una bomba è troppo, basta una scheggia. Non fanno così anche i coltivatori di perle per tirare fuori un gioiello dall'ostrica? E' l’unico consiglio che potesse darsi, bevici qualcosa davanti, perché se cominci a bere dietro le cose la tristezza diventa malinconia e la malinconia rabbia e poi... e poi non gli tornava in mente cosa capitasse dopo. Bevi qualcosa da battere forte sul bancone per rendere l’alcol ancora più volatile, un bumbum di emozioni. Una scheggia si era detto ? E i fantasmi ? I fantasmi esistono più o meno, alcuni sono ombre pesanti, altri si approfittano di essere vivi. Prendi il buono non cambiargli il pannolino finché non piange, prima che la tristezza diventi malinconia e la malinconia rabbia, la rabbia si trasformi in rimpianto e poi ... e poi non si ricordava il passo seguente come se gli fosse toccato una bibbia strappata o uno di quei film col finale aperto. Prendi il buono, e fagli subito una radiografia perché è facile che abbia le ossa vetrose che si rompono spesso, prima che la tristezza diventi malinconia e la malinconia rabbia e la rabbia si trasformi in rimpianto ed il rimpianto cresca nella disperazione e poi ... e poi cercava di ricordare il consecutivo per terminare la serie come si fa nei giochi coi numeri. Ma la sua era una tristezza banale che baciava in piedi, spegneva la luce quando usciva dalla stanza e metteva la cioccolata in frigo anche d'inverno. Prendi il buono mettigli davanti il prefisso telefonico della tua città in maniera che possa abitare vicino a te e la smetta di cambiare casa ogni volta, prima che la tristezza diventi malinconia e la malinconia rabbia e la rabbia si trasformi in rimpianto ed il rimpianto cresca nella disperazione, la disperazione si perda in un gorgo di angoscia profonda e poi ... e poi non aveva memorizzato l'ulteriore passaggio, sperava solo fosse l'ultimo perché non ne poteva più, perché anche il buono perde le bollicine come fa l'aranciata lasciata aperta. La sua era una tristezza elementare ma non è detto che non facesse male, anche quando ti lascia solo, perché non si scappa, si soffre anche quando la tristezza ti abbandona. Prendi il buono, prendilo da condire, non fidarti di quelli precotti o di quello del take away che ti regala la birra d'importazione, prendi il modello meno accessoriato, senza vernice metallizzata. Perché la tristezza diventa malinconia e la malinconia rabbia e la rabbia si trasforma in rimpianto ed il rimpianto cresce nella disperazione, la disperazione si perde in un gorgo di angoscia profonda e poi... e poi, non gli veniva. Ce l'aveva sulla punta della lingua ma poi si era buttato, con un tuffo ad alto coefficiente di difficoltà.

Perché la sua tristezza non sapeva carpiare."

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